Genitori e insegnanti si trovano sempre più spesso alle prese con bambini “difficili”. In quest’occasione pensiamo, in particolare, a quelli che esibiscono un comportamento oppositivo-provocatorio, che
può iniziare a presentarsi già dai 3 anni ma che diventa in genere più
evidente e “problematico” con l’ingresso a scuola, quando aumentano cioè
le richieste di adattamento alle regole.
Partiamo da cosa non fare, ossia da alcuni “errori educativi” comuni, da evitare perché possono facilitare l’insorgenza o il mantenimento di condotte oppositivo-provocatorie:
- permissivismo: la mancanza di regole definite impedisce al bambino di capire quali saranno le risposte dell’adulto alle sue azioni;
- incoerenza: alternare punizioni e ricompense senza una ragione chiara, lasciandosi condizionare dal proprio stato d’animo (piuttosto che dall’oggettivo comportamento del bambino) lo disorienta;
- iperprotezione: il controllo genitoriale eccessivo ostacola la crescita socio-cognitiva del bambino che, insicuro, può reagire con atteggiamenti di ribellione e sfida dell’autorità adulta;
- uso eccessivo delle punizioni: ponendosi come modello d’apprendimento, la punizione rafforza la tendenza del bambino a risolvere i conflitti e imporre la propria volontà attraverso l’aggressività.
E ora, cosa fare:
- concordare e far rispettare poche regole chiare che tutti dovranno osservare in casa o a scuola, evitando la forma negativa (es.: “parlare a voce bassa” invece di “non gridare”);
- preferire i premi (per i comportamenti positivi, anche piccoli, che conducono alla condotta desiderata) alle punizioni e darli in breve tempo, altrimenti l’effetto comportamentale svanisce;
- scegliere le punizioni (comunque mai fisiche) solo per comportamenti molto gravi (esplicito danno verbale o fisico agli altri);
- preferire sempre la perdita di un privilegio (es. uscire o usare il pc) alla punizione (es. fare qualcosa di spiacevole);
- ignorare le “esibizioni” del bambino, ossia rimuovere il rinforzo derivante dall’attenzione degli “spettatori”;
- spiegare al bambino le motivazioni che rendono inadeguata la sua condotta, senza formulare giudizi (per non gravare sulla sua già bassa autostima) e suggerire modalità alternative indicandone i vantaggi;
- individuare e agire sugli antecedenti del comportamento problematico (attenuare o modificare l’esposizione alle situazioni che normalmente conducono a comportamenti oppositivi).
Insomma, in sintesi, ogni comunicazione (regole, comandi, rimproveri) deve essere data nel modo più possibile diretto, chiaro e semplice,
senza formulare giudizi sulla persona (per es. “avevamo stabilito
questa regola, tu l’hai infranta, quindi, come avevamo stabilito devi
rinunciare a questo” invece di “sei stato cattivo, ora niente tv!”;
oppure “bravo, hai apparecchiato la tavola senza fartelo ripetere due
volte, ti meriti un premio”, invece di “bravo, oggi ti sei comportato
bene”). Inoltre, è possibile pensare di strutturare un programma a punti,
guadagnati e persi in funzione di premi e punizioni. In quest’ultimo
caso, però, è particolarmente importante che l’adulto assicuri al
bambino la massima coerenza e impegno nel monitorarne il comportamento.
Questi “terribili” bambini hanno insomma
bisogno di limiti chiari entro cui muoversi, di sperimentare che possono
essere gratificati e ricevere riconoscimento (affettivo e sociale)
quando agiscono comportamenti positivi e di aggregazione. Hanno cioè
bisogno di aumentare la propria autostima attraverso la relazione con
l’altro e la costruzione di legami duraturi su cui far affidamento
(invece di distruggerli). In questo percorso gli adulti hanno un ruolo
fondamentale.
(Fonte: http://www.forepsy.it/).
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