domenica 1 settembre 2024


Il termine "speciale" utilizzato per riferirsi a bambini con disabilità, diffuso specialmente nell'ambito familiare e non sempre dagli operatori, seppur usato con buone intenzioni è un termine non totalmente inclusivo. Bisogna analizzare alcune sfumature importanti per comprendere pienamente l'origine. 

Non esiste una legge che vieti l'utilizzo del termine "speciale", ma la normativa di riferimento promuove un linguaggio inclusivo e rispettoso delle persone con disabilità. Nessuno in realtà ha scelto o proposto la terminologia "bambino speciale" che attualmente coesiste insieme ad altra nomenclatura, di fatto il linguaggio utilizzato per descrivere le persone con disabilità si è evoluto cercando di superare stereotipi e pregiudizi. Ma è veramente così? 

Si parte dall'attribuzione del termine "handicappato" a "bambini/ragazzi handicappati", sottolineando solamente l'aspetto medico della disabilità; dobbiamo aspettare gli anni '90 con la legge 104/92 in cui il termine "handicap" viene progressivamente sostituito da "con disabilità". 

Tutto parte da un fatto di cronaca, in un concerto di Antonello Venditti, mentre che introduceva un brano con un aneddoto personale, una giovane in prima fila lo incitava con dei versi a cantare. Il cantante, non accorgendosi della disabilità della ragazza, ha reagito con una battuta infelice; purtroppo non ha successivamente inteso il suggerimento dell'operatore "è un ragazzo speciale", omettendo la parola "con disabilità", sicuramente di più facile comprensione e immediatezza. 

Ma andiamo al dunque...

L'utilizzo del termine "speciale" è nato dal desiderio di sottolineare le qualità uniche e le potenzialità di ogni individuo, indipendentemente dalle sue abilità; ma sottende una differenza intrinseca e negativa rispetto alla "normalità", ciò può portare a un'eccessiva medicalizzazione delle diversità. C'è da sottolineare che in un certo senso si voleva riconoscere la necessità di un approccio educativo personalizzato e diverso rispetto a quello standard (successivamente lo sviluppo di discipline di studio come la "didattica speciale" che successivamente farà chiarezza terminologica).

Tuttavia, con il passare del tempo, questo termine ha iniziato a suscitare alcune critiche via via più evidenti:

  • di connotazione negativa: "speciale" può essere interpretato come sinonimo di "diverso" o "anormale", creando una sorta di etichetta.
  • di troppa enfasi: il termine "speciale" sposta l'attenzione dalla persona alle sue limitazioni, limitando così le sue potenzialità.
  • non di facile comprensione: non sempre l'appellativo "speciale" è ricondotto alla disabilità.

Per questo motivo, è più giusto utilizzare termini più neutri e descrittivi come "bambino con disabilità". Infatti il termine più corretto è "bambino/a con disabilità", dove l'uso della preposizione "con" evidenzia che la disabilità è una caratteristica e non definisce l'intera persona.

Carmelo Di Salvo

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