L'anno prossimo i ragazzi con difficoltà
rientreranno tra i Bisogni educativi speciali. Ma non sarà un modo per
tagliare insegnanti di sostegno? Il rischio c'è...
Non ne parla nessuno. Ma per il prossimo anno scolastico c'è il
rischio concreto di un drastico taglio agli insegnanti di sostegno.
L'ultima eredità del ministro Profumo. Stiamo parlando della direttiva
"Strumenti di intervento per gli alunni con bisogni educativi speciali e
organizzazione territoriale per l'inclusione scolastica", firmata dal
Ministro Profumo a inizio gennaio, prevista fin dal 27 dicembre 2012. I
Bes, l'acronimo, sono quei ragazzi che non hanno né una certificazione
di disabilità né dislessia dichiarata. L'idea in sé è buona. Il
consiglio di classe potrà avviare percorsi personalizzati. Potrebbe
trattarsi di una difficoltà, non di un disturbo. Di un bisogno
temporaneo, di un problema familiare sociale ed economico. Il baricentro
si sposta sul piano educativo e il processo di inclusione diventa
qualcosa che riguarda davvero tutta la comunità educante, tutto il corpo
docente.
Per ogni ragazzo segnalato deve essere redatto un piano individuale di
intervento. Prendiamo situazioni limite quali possono essere quartieri
di marginalità conclamata, soprattutto nelle grandi metropoli. Inutile
citare questo o quel quartiere. In casi così i piani individuali
potrebbero riguardare una classe intera. Allora, domanda. I professori
hanno il tempo necessario per fare anche questo? Come sappiamo negli
anni scorsi per ogni materia d'insegnamento sono state ridotte le ore,
per tagliare posti di lavoro e avere come ricaduta una minore qualità
dell'istruzione.
Ma i problemi sono anche altri. Scrive Sara Biscioni di Tecnica della
scuola. "Quindi tu, che sei povero, o che sei straniero, hai un Bisogno
Educativo Speciale. Non lo sapevi? Tiè. L'elemento di pericolosità
emerge in tutta la sua evidenza: chi è in situazione di svantaggio
sociale e culturale, e chi non è madrelingua italiano, è paragonato a
chi possiede una certificazione clinica di DSA (e appunto sorvolo sulla
bontà di tali certificazioni, che spesso sono distribuite a piene mani a
chiunque sia "poco conforme" alla figura del bravo studente -
robottino)".
Perché mettere in un'unica Circolare indicazioni per situazioni così
differenti? Soprattutto, perché l'essere povero o di famiglia non
italiana significa avere un Bisogno Educativo Speciale?? Perché lo dice
l'Europa? Molti insegnanti penseranno: "Beh, almeno questa Circolare
impone l'adozione di un Piano Educativo Personalizzato che può aiutare
gli studenti non madrelingua ad accostarsi poco a poco allo studio delle
discipline", che è quanto già si fa e si dovrebbe fare attraverso una
riduzione temporanea dei contenuti e una semplificazione temporanea dei
testi di studio e delle verifiche in caso di difficoltà connesse alle
scarse competenze in lingua italiana. Attenzione però a non confondere
la bontà dello strumento (il piano personalizzato, che spesso è utile ed
efficace) con la bontà del piano generale a cui lo strumento si
riferisce. Perché mettere questi studenti, e le loro difficoltà, sullo
stesso piano degli studenti con difficoltà cognitive? E lo "svantaggio
sociale e culturale", cosa c'entra? Sono io la prima a sostenere che le
difficoltà economiche, la mancanza di reti sociali e comunitarie, la
mancanza di possibilità di accesso a strumenti di ricchezza culturale
possono (possono) provocare insuccessi scolastici o precoce abbandono
degli studi (e anche qui sorvolo sulle riflessioni che sarebbero dovute
sui metodi e gli scopi dell'educazione statale pro - capitalista), ma in
questi casi non c'è bisogno di sigle o programmazioni: c'è bisogno di
agire con forza per azzerare le ingiustizie economiche, sociali e
linguistiche che rendono questi studenti "svantaggiati"! Ovviamente, per
limitarci alle azioni a livello scolastico, il primo passo sarebbe dare
fondi e professionalità alle scuole i cui studenti maggiormente vivono
queste ingiustizie..".
Considerazioni che hanno come conseguenza quello che la Biscioni
scrive ancora: "Andiamo avanti: dalla "rilevazione, monitoraggio e
valutazione del grado di inclusività della scuola" si potranno "desumere
indicatori realistici sui quali fondare piani di miglioramento
organizzativo e culturale". Dunque indicatori di inclusività. Ottimo,
uno pensa: sapremo così quali sono le scuole più attente ai bisogni
degli studenti Bes, cioè con svantaggio sociale (economico non l'han
scritto, che faceva brutto), culturale, problemi cognitivi e
comportamentali vari, stranieri. Ma leggiamola a rovescio: sapremo
esattamente quali sono le scuole con più studenti con svantaggio sociale
culturale ecc... Cioè qualcuno potrà farsi un'idea precisa e scegliere
magari di non mandare il proprio figlio in quella scuola così troppo
"inclusiva". Ed ecco che l'inclusione può diventare segregazione...".
Ecco. Il rischio di scuole ghetto. Non solo. C'è il rischio
dell'allargamento dei bisogni educativi speciali alle altre disabilità. I
genitori a volte sono restii e denunciare l'handicap, quelle
problematiche che rientrano nei disturbi specifici dell'apprendimento
quali dislessia, disgrafia, discalculia. Sarà gioco facile assecondarli.
Far gravare sul collego dei docenti questi problemi e ridurre la
necessità degli insegnanti di sostegno. Continuare a togliere, anche
posti di lavoro, dichiarando il contrario.
(Fonte: http://www.globalist.it ).
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