La scuola è un canale privilegiato per rilevare il disagio dei bambini e dei ragazzi.
Ma quand’è che il disagio è tale da dover essere comunicato al servizio
sociale? E come parlarne? Esistono buone prassi di comunicazione? E
quando invece c’è l’obbligo di rivolgersi all’autorità giudiziaria? La dott.ssa Giulia Ghezzi (assistente sociale) nel suo portale https://saperesociale.com ci fornisce alcune informazioni di seguito descritte:
Ci sono un’infinità di situazioni più o meno grigie che
creano molte più indecisioni e timori: trascuratezza nell’igiene e
nell’abbigliamento (o, al contrario, eccesso di cure), difficoltà
relazionali coi compagni, atteggiamenti inadeguati con gli adulti,
insofferenza alle regole e ai contesti strutturati… Sono tutti elementi
che singolarmente dicono poco ma che, contestualizzati rispetto a
ciascuna situazione, possono diventare dei campanelli d’allarme da ascoltare.
Ma quello che preoccupa di più oltre l'osservare il disagio è decidere che cosa fare.
Spesso gli insegnanti si accorgono che “c’è qualcosa che non va” ma non
sanno bene come muoversi. Sono segnali di un disagio familiare? e di che
tipo? che cosa si può fare per aiutare quel bambino o ragazzo? e per
sostenere la sua famiglia? la situazione è tale da richiedere
l’intervento del servizio sociale? ma non è che poi “glielo portano
via”?
E’ bene che la scuola sappia che il temutissimo allontanamento del minore
non è una soluzione desiderata nemmeno dall’assistente sociale. E’
l’ultima spiaggia, a cui si ricorre dopo che sono stati messi in campo
tutti i possibili interventi di sostegno alla famiglia. Il servizio
sociale ha ben in mente che il collocamento fuori famiglia è una misura
drammatica per il minore e la sua famiglia; per questo, lo sceglie solo quando l’alternativa è ancora peggiore, cioè il bambino o il ragazzo vive una situazione di grave pregiudizio e non può essere aiutato in altro modo. Ad esempio tra gli interventi troviamo:
Ad esempio
- la consulenza psico-sociale
- l’intervento educativo al domicilio o a scuola
- l’inserimento in contesti di supporto all’apprendimento (spazio compiti, servizi specializzati)
- l’inserimento in contesti aggregativi territoriali
- la collaborazione con servizi di presa in carico specialistica (neuro psichiatria infantile), ecc.
Tutti questi interventi rappresentano possibili aiuti alla situazione familiare e possono portare ad un effettivo miglioramento delle condizioni di vita del bambino e delle competenze genitoriali di mamma e papà.
E’ importante che ci sia uno stretto rapporto tra scuola e servizio sociale, che queste due istituzioni individuino momenti specifici di incontro e scambio e ragionino sulle prassi da utilizzare per confrontarsi sulle situazioni e trasmettersi informazioni. Se dal confronto tra insegnanti e assistente sociale si evince la
necessità di un intervento di supporto al nucleo familiare da parte del
servizio sociale, gli insegnanti dovranno parlare con i genitori dell’alunno per condividere le loro preoccupazioni e spiegare loro che possono trovare aiuto al servizio sociale.
Se i genitori, ripetutamente sollecitati, non si attivano, è bene che sia la scuola a muoversi nei confronti del servizio sociale facendo una segnalazione per iscritto.
E’ bene aver tutti in mente che la segnalazione al servizio sociale non è
una punizione per il genitore o uno stigma per la famiglia, ma un modo
per aiutare il bambino e la sua famiglia a stare meglio.
0 commenti:
Posta un commento